
L’atto di ingerire volutamente materiali non commestibili, noto come PICA, è una problematica comune nella convivenza con il nostro pet. Questa abitudine potrebbe portare il nostro animale domestico a ingerire fili, calzini, stoffe, plastica, giocattoli, etc e può essere causa di grande ansia e preoccupazione per le sue possibili ripercussioni cliniche.
Tornando alla domanda centrale: perché il mio cane o gatto ha sviluppato questa cattiva abitudine? La PICA, ha origini principalmente in due macrocategorie: i disturbi comportamentali e i disturbi clinici di natura metabolica, con particolare attenzione all’apparato gastroenterico.
È importante notare che, sebbene sia più spesso legata a problemi comportamentali o al gioco nei giovani animali con meno di 4-6 mesi, negli individui adulti è quasi sempre correlata a problemi clinici frequentemente associati all’apparato gastrointestinale. Questa distinzione è fondamentale per affrontare correttamente la questione. Troppo spesso, infatti, il sintomo viene sottovalutato e ricollegato a problemi comportamentali, permettendo alla patologia intestinale sottostante di progredire indisturbata. Di conseguenza la diagnosi viene spesso formulata in ritardo, quando la malattia è ormai cronica e avanzata.
Come possiamo interpretare correttamente il problema?
Dovremmo sempre consultare un medico veterinario internista o gastroenterologo quando si verifica l’ingestione di materiali non alimentari, soprattutto in soggetti di età superiore ai 6 mesi, e in particolare quando alla PICA si associano altri segni clinici correlati come l’ingestione di erba, presenza di flatulenze, borborigmi addominali, episodi di diarrea o feci umide/molli alla prensione (anche se occasionali), episodi di vomito (compresi quelli contenenti erba o boli di pelo nei gatti) o quando l’animale è stato sottoposto a lunghi trattamenti antibiotici in età pediatrica.
Spetta al medico veterinario interpretare i dati raccolti e richiedere eventuali ulteriori indagini diagnostiche o trial clinici per diagnosticare o escludere una patologia clinica sottostante. In caso di esito negativo sarà dunque considerato l’aspetto comportamentale e consultato il medico comportamentalista.